di Stefano Chellini* e Riccardo Favero**
A partire dal secondo dopoguerra abbiamo assistito ad una costante ed inesorabile diminuzione delle terre coltivate. Le cause sono molteplici e complesse ma tra le principali possiamo indicare: l’esodo dalle campagne verso la città (soprattutto dalle zone interne montane), il consumo di suolo nelle zone di pianura e peri-urbane, le politiche agricole che hanno spinto alla messa a riposo dei seminativi (set-aside), la situazione fondiaria nelle aree montane caratterizzata da un elevato frazionamento e da una perdita di valore dei terreni stessi che ha disincentivato pratiche di ricomposizione fondiaria, la perdita costante di redditività delle aziende agricole in zone marginali.
Abbiamo assistito negli ultimi anni ad un importante cambiamento culturale verso il mondo rurale: si è riacceso l’interesse verso l’agricoltura, verso le produzioni agroalimentari di qualità e, in generale, verso la montagna e l’entroterra come fornitori di servizi eco-sistemici.
Con il riaccendersi dell’interesse verso il mondo rurale, l’accesso alla terra è diventato una questione di vitale importanza
In questo contesto l’accesso alla terra è diventato una questione di vitale importanza in primis per la collettività, in tema di difesa e fruizione dei beni comuni, in secondo luogo per garantire il diritto agli imprenditori agricoli (o aspiranti tali) di poter disporre del fattore chiave della produzione primaria e infine per le comunità locali, perché possano esercitare il proprio diritto alla sovranità alimentare.
Il Legislatore e le diverse Amministrazioni locali sono intervenute con innumerevoli provvedimenti (alcuni strutturati altri decisamente spot) che hanno provato ad affrontare la questione senza però riuscire a trovare soluzioni risolutive. Uno dei problemi maggiori, in questo come in altri campi, è che la stratificazione normativa e l’intrecciarsi di questioni afferenti ad ambiti molto diversi tra loro (costituzionali, civilistici, fiscali, amministrativi, economici, etc) ha reso sempre più difficile orientarsi nel quadro legislativo/giurisprudenziale e reso sempre meno certo il diritto. Il punto essenziale è quello di costruire degli strumenti normativi che consentano, in tempi e modi ragionevoli, l’acquisizione di diritti reali su beni pubblici e privati da parte di operatori economici in grado di valorizzarli sia dal punti di vista produttivo che di presidio ambientale.
Esiste uno strumento normativo poco conosciuto e poco utilizzato ma dalle potenzialità enormi: la Legge Regionale 18/1996
Un caso esemplificativo di strumento normativo dalle enormi potenzialità (poco conosciuto e ancor meno utilizzato) è la Legge Regionale della Liguria n. 18 dell’11 aprile 1996 “Norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate” attuazione della legge 4 agosto 1978, n. 440. Già quest’ultima contiene in modo assolutamente anticipatorio tutti i principi e i valori che negli anni successivi matureranno in una diffusa sensibilità verso la questione dell’accesso alla terra. La L.R. 18/1996 prevede la possibilità di richiedere l’assegnazione (in affitto) delle terre incolte sia pubbliche che private individuando due diversi iter amministrativi a seconda che il richiedente sia un ente pubblico oppure un privato cittadino. Nel primo caso l’articolo 10 bis della L.R. 18/1996 prevede la possibilità per gli Enti Pubblici di richiedere alla Regione, con una procedura abbastanza snella, l’assegnazione delle terre incolte (pubbliche o private) da poter poi destinare a progetti di riqualificazione. Il grosso vantaggio per l’Ente pubblico è che la notifica ai proprietari dei terreni richiesti in assegnazione può essere fatta dalla Regione mediante pubblici proclami. In questo caso si applica quindi il principio del silenzio assenso che permette di risolvere alcune spinose casistiche come quella dei proprietari silenti o irreperibili.
Nel caso invece di richiesta di assegnazione di terreni incolti da parte di privati cittadini (imprenditori agricoli o aspiranti tali) la legge prevede una procedura troppo farraginosa. La Regione, in questo caso, ha l’obbligo di notificare la richiesta di assegnazione a tutti i proprietari dei terreni mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Questo ed altri punti critici della legge sono stati oggetto di diverse proposte di modifica l’ultima delle quali presentata dai sottoscritti e attualmente giacente negli uffici regionali. Non si tratta quindi di scrivere una legge nuova ma, sulla base di oltre 25 anni di esperienza, di agire sui punti critici eliminando i bizantinismi della procedura e adeguando la norma al quadro sociale e normativo attuale. In questo specifico caso sarebbe necessaria un’azione di pressione affinché l’iter legislativo di riforma della L.R. 18/1996 possa giungere a conclusione.
Occorre un confronto per adeguare la legge alle esigenze attuali
Siamo consapevoli che gli strumenti esistenti siano tanti, spezzettati, sconosciuti e spesso alla prova dei fatti di difficile applicazione. Riteniamo necessaria a tal fine la costituzione di un tavolo tecnico che metta a fattor comune le rispettive conoscenze, individui gli strumenti già applicabili, analizzi le criticità ed elabori proposte di miglioramento dell’impianto normativo. Lo scopo deve essere quello di realizzare pienamente il principio dell’articolo 42 della Costituzione che recita: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti…”.
* Stefano Chellini, agronomo, Legacoop Liguria
** Riccardo Favero, agronomo, ex funzionario Regione Liguria – Assessorato Agricoltura
Nota di Alkimie: il dottor Chellini e il dottor Favero sono intervenuti in occasione del convegno sui Beni pubblici inutilizzati organizzato da Alkimie a Millesimo il 4 novembre scorso, con spunti e riflessioni interessanti che abbiamo chiesto loro di riunire in questo articolo. Qui approfondimenti sul convegno e qui il video integrale dell’iniziativa