Il report 2023 della Commissione Europea, “Culture and Democracy: the evidence” insiste sulla stretta correlazione che lega il tasso di partecipazione alle attività culturali dei cittadini all’affermazione e allo sviluppo di pratiche di partecipazione democratica, coesione sociale e impegno civico.
Il tema è affatto nuovo, anzi affonda le proprie radici nel lungo dibattito ottocentesco e nelle prime forme moderne di autorganizzazione sociale, quali le società operaie, le cooperative germinate da queste e le organizzazioni sindacali evolute in Italia tra la seconda metà del secolo XIX e la Prima Guerra mondiale.
L’importanza data allora all’interno delle organizzazioni solidaristiche alla partecipazione culturale rispondeva, infatti, sì alla necessità di costruire e diffondere forme di cultura antagoniste alla cultura prodotta e fruita dalle élite borghesi in rapida ascesa – in un lungo e diversificato processo di affermazione culturale di classe – ma anelava soprattutto al rafforzamento dei vincoli mutualistici esistenti grazie al valore sociale delle arti e alla loro indubbia capacità attrattiva e generatrice di pensiero.
La funzione della società operaia, della sezione sindacale o di partito come palestra di cultura e democrazia, come luogo in cui esercitare liberamente il voto, percependosi parte attiva nei processi decisionali e familiarizzando con le convenzioni della dialettica politica, è uno degli elementi più rilevanti e di rottura della storia delle classi lavoratrici.
Nell’arco di pochi decenni, da supplenti dello Stato nel compito di alfabetizzare una nazione formata, a metà Ottocento, in massima parte da contadini operai e artigiani largamente analfabeti, i sodalizi democratici ispirati da Mazzini e quindi dalle teorie socialiste seppero incardinare la cultura all’interno di quel complesso e attrattivo sistema di valori che ne garantì la fortuna nei decenni successivi.
Biblioteche popolari, corsi di letteratura, spettacoli teatrali ed esposizione del lavoro creativo dei soci erano patrimonio comune di case del popolo, società di mutuo soccorso, sindacati: le realtà più avanzate erano in grado di organizzare viaggi di istruzione, generalmente in occasione delle Esposizioni internazionali ma anche per assistere a concerti lirici, visitare luoghi della cultura, sino a creare teatri e università popolari, organizzare festival e ospitare artisti e intellettuali nel ruolo di conferenzieri.
Se si è sin qui insistito sulle origini di questo nesso ottocentesco, tra cultura e la triade impegno civico-democrazia-coesione sociale, è per sottolineare maggiormente come l’investimento nella partecipazione culturale dei cittadini – come richiamato più volte dalla Commissione UE – sia essenziale ora nella formazione di una autentica cittadinanza europea, tanto quanto lo fu allora nel lungo processo italiano di nation building.
Il contatto diretto con il patrimonio culturale (i luoghi della cultura, gli oggetti museali, la documentazione archivistica e fotoiconografica) rafforza il sentimento di appropriazione collettiva del bene culturale e stimola il senso di appartenenza a una società fondata su esperienze storiche e valori condivisi. Gli individui che ne beneficiano – sottolineano gli estensori del Rapporto – hanno maggiori possibilità di divenire membri attivi della comunità di riferimento, di adottare determinate pratiche civiche (quali il volontariato o l’attività sociale), di accrescere il capitale sociale della collettività.
Agli Stati membri della Ue spetta l’onere di promuovere attivamente la partecipazione culturale dei propri cittadini, mediante azioni comunicative interne, condivisione di esperienze e buone prassi con le altre nazioni UE e l’inclusione delle attività culturali nelle strategie di rigenerazione urbana, inclusione sociale, sanità e immigrazione, anche in ottica di riduzione delle diseguaglianze e di decompressione delle tensioni sociali attribuibili alla riduzione generalizzata delle politiche di welfare.
Si tratta di raccomandazioni impegnative, che dovrebbero spingere i decisori politici a collocare la cultura al centro dell’agenda politica, investendo risorse umane e finanziarie nella ricerca e nell’innovazione orientate all’inclusività e alla partecipazione attiva alle attività culturali.
È da sottolineare, tuttavia, come l’enfasi generalmente conferita al mero aspetto quantitativo (i fruitori di una determinata città d’arte, i visitatori di una mostra, il numero di copie vendute, i followers, etc) celi in realtà una corrispondente e preoccupante assenza di visione strategica, nella direzione auspicata dalla stessa Commissione UE e certificata dai molteplici studi pubblicati sulla misurazione dell’impatto sociale della proposta culturale, sulle diseguaglianze esistenti tra le diverse aree geografiche, sull’insufficienza del modello formativo e dello scambio tra sistema scolastico e i vari domini culturali, sui fenomeni di ritorno dell’analfabetismo e di diradamento dei lettori, sulla qualità dell’offerta culturale nei territori marginali e nelle aree interne, sulla caduta verticale del senso civico e dei legami di solidarietà.
Il Report “Culture and Democracy: the evidence”
L’articolo di Luisella Carnelli, Partecipazione culturale come catalizzatore di democrazia, su Agenzia Cult, 9 dicembre 2023.
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