Il tema dei beni comuni e della loro gestione è centrale negli scopi associativi di Alkimie, laddove riteniamo che il rilancio del territorio passi attraverso una progettualità condivisa, partecipata e sostenibile e la valorizzazione delle potenzialità locali: umane, imprenditoriali, naturali, storiche e culturali. Ospitiamo perciò volentieri il contributo alla discussione offerto da questa intervista del nostro co-presidente, Gianluigi Granero, a Daniela Ciaffi, vice presidente di Labsus, pubblicata sul blog gianluigigranero.it
Cresce anche in Italia il fenomeno dei cittadini, singoli o associati, che si organizzano per la gestione dei “beni comuni” dove i cittadini si riappropriano del potere e lo esercitano nel segno della responsabilità e dell’etica civile. Una grande opportunità e sfida per il movimento cooperativo, che deve le sue origini e la sua ragion d’essere alla pratica dei principi e dei valori dell’autorganizzazione e dell’autoaiuto, una sfida per tutto il Terzo Settore e per le istituzioni che va accolta partecipando all’elaborazione teorica e alla successiva realizzazione di progetti concreti.
Ne parliamo con Daniela Ciaffi, docente di Sociologia della Città e del Territorio al Politecnico di Torino e vicepresidente di Labsus, che ringrazio per la disponibilità a questo dialogo.
Di “beni comuni” si parla molto ma forse il concetto non è ancora così chiaro ai più. Mi puoi definire cosa si intende esattamente?
Mi piace molto questa prima doppia domanda. Per definire i beni comuni parto dalla definizione che diede Stefano Rodotà e che resta, ovviamente, sempre basilare: “I beni comuni sono quei beni a uso non esclusivo per poter esercitare i diritti fondamentali dell’uomo”. Sono quindi beni comuni l’acqua, l’aria, ma anche la foresta amazzonica che è il polmone del pianeta, ecc.. A questa definizione, si aggiunge un’accezione più quotidiana, cioè che siano anche beni comuni quei beni, pubblici o privati, sempre a uso non esclusivo, cioè caratterizzati da un uso aperto a tutti. In base a questa seconda definizione rientrano allora a pieno titolo nei beni comuni anche pochi metri quadri di verde pubblico in un quartiere o in un territorio di montagna, sui quali una comunità può attivare un progetto di rigenerazione o cura che coinvolge i cittadini su scala microurbana o microterritoriale. E poi ci sono i beni comuni immateriali, cioè servizi di interesse generale co-progettati dai cittadini in favore della propria comunità, che devono essere favoriti e incoraggiati dallo Stato e dagli altri enti pubblici sulla base dell’art. 118 della nostra Costituzione proprio perché perseguono il bene di tutti.
Per la gestione dei beni comuni, si fa sempre più ricorso allo strumento dei “Patti di Collaborazione”. Cosa sono e come nascono?
I patti di collaborazione sono la soluzione, oserei dire geniale, ad problema evidenziato attorno al 2013 da Donato Di Memmo, tecnico responsabile del Settore Partecipazione della Città di Bologna, …. leggi il resto dell’articolo qui